Iniziativa in occasione del secondo anniversario della scomparsa di Domenico Giannace, già Sindaco di Pisticci e consigliere regionale. Nuove testimonianze e contributi.

di Gerardo Melchionda

“Ho conosciuto Mingo Giannace nel PCI e, dopo il 1990, ci siamo ritrovati nel Partito della Rifondazione Comunista. Ci siamo incontrati in seguito in tante assemblee nelle scuole, con gli studenti e con i docenti che si commuovevano nell’ascoltare la sua vita. Del suo lungo percorso politico, come esponente del Partito Comunista in Basilicata, come antifascista, come sindaco di Pisticci, come organizzatore delle lotte dei contadini del Sud e come attivista delle tante battaglie di civiltà, sappiamo tanto. Io voglio parlare dell’uomo, di questa straordinaria persona che non ha smesso mai di sognare e vivere con generosità nella ricerca continua di un impegno per difendere i diritti dei più deboli. Mingo imprimeva a tutto ciò che faceva il senso della ricerca e del bisogno di verità. Era un rivoluzionario, voleva innanzitutto cambiare se stesso, non si accontentava di “fare” ma voleva fare bene, con coerenza e serietà. Mi colpiva la sua semplicità, il suo modo naturale di affrontare questioni complesse. Io da insegnante scoprivo in lui la forza dell’educatore. La sua vita era fondata sull’ascolto e sul comportamento, più che sulle parole. Non gli interessava tanto trasmettere nozioni, quanto che le persone diventassero capaci di scegliere con coscienza e responsabilità. Che fossero libere. Agire per lui era davvero accompagnare ciascuno a scoprire la propria diversità, con pazienza e delicatezza, senza pressioni né condizionamenti, stimolando quel confronto con le grandi domande della vita senza il quale la nostra libertà è ridotta a capriccio, arbitrio, semplice sfogo di impulsi. Le divisioni e le sconfitte che segnavano il travagliato percorso del movimento dei lavoratori e della sinistra lo segnavano, ma non lo hanno mai fermato. Per lui contava che le persone imparassero lo stupore e la conoscenza, capissero che è l’io in funzione della vita e non la vita in funzione dell’io. In quella dimensione avrebbero trovato tutti il loro modo di credere e di vivere. «Nessun uomo o donna è lontano da noi – mi disse un giorno – ogni persona ha i suoi tempi, che neppure noi riusciamo a comprendere. Dobbiamo avere pazienza». Questa ricchezza umana e apertura di vedute Mingo la portò anche dentro il Partito. Egli ha sperimentato sulla propria pelle la forza dei condizionamenti clientelari e familistici sulla gente dei nostri paesi, tuttavia, ha rappresentato una ragione di più per rimboccarsi le maniche e stanare la speranza in cuori induriti dall’odio e dal pregiudizio, suscitando in tante donne e uomini il desiderio del riscatto. Mingo concepiva il partito come uno strumento di promozione umana e sociale, strumento capace di cambiare la società e nello stesso tempo lo desiderava aperto, più “periferico”, più vicino ai lavoratori, più attento alle questioni sociali. Il bravo militante di partito non è colui che farà derivare la propria forza dal prestigio sociale del partito, ma colui che avrà il coraggio di far sua la non-forza del partito. Mingo era un uomo schivo che rifuggiva ogni protagonismo. Qualsiasi definizione si voglia dare di Mingo potrebbe essere sbagliata non solo perché ogni definizione, sia pure attribuita con le migliori intenzioni, impoverisce la complessità di una vita, ma perché Mingo aveva capito che il problema non è tanto prendere il potere, come organizzazione politica, quanto cambiare la cultura politica dentro cui si muove la società. Solo quando avremo il coraggio di riconoscere anche le nostre responsabilità, responsabilità non solo dirette ma anche indirette, riferibili a quel peccato di omissione che consiste nell’interpretare in modo restrittivo, puramente formale e freddo il partito, riusciremo ad essere veramente credibili e rivoluzionari. Perché una rivoluzione autentica, per essere un cambiamento radicale nei rapporti umani, non è soltanto il trionfo della giustizia ma il trionfo dell’amore. Mingo è stato un punto di riferimento di tanti compagni, di tante donne e uomini. Non ha mai mancato di denunciare che la povertà, lo sfruttamento dei lavoratori e l’emarginazione non sono fatalità, ma il prodotto di ingiustizie, di precise scelte politiche ed economiche. Ha sempre inteso saldare l’idealità e la quotidianità, l’impegno civile e gli articoli della Costituzione. I suoi messaggi semplici nascevano sempre da un grande amore per la vita, da un grande desiderio di quella verità che sta dalla parte della vita, delle persone. Per questo è stato un dirigente politico scomodo. Scomodo per quella politica che non serve la comunità ma interessi e poteri consolidati. Scomodo per quel partito che viene a patti con i poteri, scegliendo di non interferire, di non portare, insieme alla solidarietà, la sveglia delle coscienze di cui non c’è simbolo più esplicito che la lotta. Mancherà tanto, a tutti noi, Mingo. Mancheranno la sua simpatia, il suo entusiasmo, la sua passione. A me mancheranno le nostre discussioni, anche le differenze di vedute che non hanno mai impedito a lui e a me di continuare a sentire una forte affinità e avere uno stesso orizzonte. L’orizzonte di giustizia e di libertà che rende vive le vite delle persone.”

SCOLPITI NELLA ROCCIA

di Filippo Novello e Francesco Candido

“Il 28 marzo ricorre il 2° anniversario della morte di Domenico Giannace ed è occasione per noi che ricordiamo spesso “Mingo” esternare alcuni nostri pensieri. Chi lo ha conosciuto, come noi, lo ricorda con quel sorriso stampato sempre sulla faccia, l’ironia con cui guardava la vita e l’incrollabile certezza che tutto sarebbe andato bene. Noi da bambini lo ricordiamo nella nostra casa, quando veniva a trovare il suo compagno e amico “Ciro Candido” e la moglie Vincenzella Castria. I rapporti erano non solo legati alla militanza politica ma erano fraterni e coinvolgevano le due famiglie, come non ricordare anche sua moglie la cara Antonietta! Rimanevamo sorpresi ed incantati nell’ascoltare quelle storie sulle occupazioni delle terre, in cui avevano avuto un ruolo importantissimo e quando parlavano della loro esperienza nel carcere di Matera! Uomini scolpiti nella roccia da cui trassero la forza e la volontà per battersi contro le ingiustizie sociali che attanagliavano la nostra Basilicata e l’intero mezzogiorno. Quelle lotte fecero fare un salto culturale a persone come Mingo e Ciro che oltre a condurre le battaglie nei campi, nelle piazze si trovarono a svolgere il ruolo di limpidi e altruisti amministratori di Comuni, Provincia e Regione portando nelle sedi istituzionali le istanze delle classi popolari. L’ultima volta che lo abbiamo visto è stato nel dicembre 2017 quando abbiamo inaugurato, a Montescaglioso, la nuova sede della Camera del Lavoro! Mingo, pur apparendo provato dagli anni a dagli acciacchi, volle essere presente assieme ad Angelo Ziccardi, anche lui scomparso da poco, per far sentire la vicinanza ad iniziative che stanno perdendo vigore con il passare degli anni! I giovani tendono a dimenticare ma devono sapere che solo grazie a uomini come Mingo Giannace, Ciro Candido ed Angelo Ziccardi, per citarne solamente alcuni, che l’Italia ha fatto progressi nel campo della giustizia sociale, in nome della solidarietà che noi vorremmo riassumesse quel ruolo che aveva per compagni come Mingo.”

LE INGIUSTIZIE SOCIALI

di Nicola Suriano

“Il 28 marzo 2021 ricorre il secondo anniversario della dipartita del compianto Domenico Giannace. E’ una ricorrenza che ti richiama alla mente tanti ricordi sulla vita densa di valori che abbraccia tutto il suo vissuto. Mi limito a sintetizzare poche cose collocate nel lungo che ci ha visto impegnato nelle lotte a partire dal mese di maggio1965. Comincio da questa data, ma la conoscenza risale a molto prima, perché’ coincide con il mio impegno per la costruzione del CNB (Consorzio Nazionale Bieticoltori). Impegno che si collocava all’interno dell’Associazionismo agricolo di sinistra. Ancora in quel periodo era molto difficile per la sinistra, particolarmente nell’area della riforma fondiaria del Metapontino, praticare quell’impegno, ma grazie al contributo di Domenico perchè tra gli assegnatari dei poderi aveva una forte ascendenza in virtù dei legami di lotte che risalivano a quello per il lavoro, per la riforma agraria e per la democrazia. Mingo o Mingù, come affabilmente veniva chiamato dagli assegnatari e non soli, era il nome di battaglia consolidatosi nelle lotte. Così fu possibile il mio graduale inserimento del tessuto sociale che era fortemente impaurito dall’ azione discriminatoria dell’Ente di Riforma Fondiaria.”