Più volte denunciato e fermato per le lotte del lavoro e della libertà in occasioni di scioperi e manifestazioni per la democrazia, Domenico Giannace nel 1936 orfano di madre, a meno di dodici anni prese servizio come carrettiere con l’impresa Pastore, nella Colonia Confinaria di Pisticci-Bosco Salice, dove curava il trasporto da Pisticci al Centro Agricolo l’incaricato per la progettazione e la costruzione della Colonia Confinaria l’Ing. Manlio Rossi, che soggiornava nell’albergo “Motta” a Pisticci. Giovanissimo, Domenico non poteva trasportare materiale pesante, per questo gli fu asseganto un aiutante Polacco, Joseph Salaris, rifugiatosi per ragioni politiche in Francia, catturato e inviato a Pisticci.
I primi confinati arrivavano presso la stazione di Bernalda accompagnati da due militi e due poliziotti, personalità come Umberto Terracini, e con lui altri dirigenti sindacali e politici antifascisti reclusi. Tra i tanti che arrivavano ogni giorno, Domenico Giannace conobbe i confinati, Carlo Porta, diventato fraterno amico, Vito Sardella, Renato Bitossi e Odoardo Voccoli, che seppero infondere nel suo animo i sacri e inviolabili sentimenti di libertà, giustizia e fratellanza, e dove cominciò a prendere coscienza delle problematiche collegate al mondo del lavoro con colloqui e lunghe discussioni con i confinati, che contribuivano notevolmente alle formazione politica di Domenico, guadagnandosi la loro fiducia diventando in fine la loro “Mascotte” della Colonia Confinaria di Pisticci.
Considerato confidente e amico dei confinati, nel marzo 1938 fu preso selvaggiamente a calci e a schiaffi dal milite di guardia, e a tredici anni conobbe il carcere, rinchiuso e tenuto a digiuno per due notti e tre giorni, malmenato e umiliato. Il titolare dell’impresa dove Domenico lavorava, si adoperò molto per la sua liberazione presso la milizia, ma il reato era molto grave perchè al momento il giovane era stato sorpreso con un fiasco di due litri di Olio di d’oliva che aveva acquistato per conto di Renato Bitossi, già deputato con la scorta e rieletto dopo la liberazione.
Giannace fu rimesso in libertà grazie a Vittorio Ricchiuti, fornitore dello “spaccio” per militi e confinati, che riferì al console della Milizia che era stato lui, e non gli altri, a incaricare il giovane a prelevare l’olio. Il milite di guardia fu così rimproverato e l’olio giunse a destinazione. Dopo questo episodio, il giovane Giannace fu sempre controllato a vista in ogni suo movimento.
Era abbastanza significativa la solidarietà instaurata nel campo di confino. Lui e altri dirigenti sindacali e politici del mondo contadino sono diventati protagonosti della storia della Lucania e del sud. Ho voluto descrivere e parlare di una storia, che tradizionalemtne potremo definire “dal basso” e che forse è ancora oggi sconosciuta. Di seguito pubblico un filmato del sindacalista, politico antifascista Domenico Giannace al Consiglio Nazionale dell’A.N.P.P.I.A. (Associazione Nazionale Perseguitati Politici Italiani Antifascisti) convocato a Roma, il 21-22-23 novembre 2014.
Giannace racconta quando cominciò a prendere coscienza delle problematiche collegate al mondo del lavoro e della politica frequentando i confinati politici antifascisti.
Giuseppe Cisterna
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