Seguo con attenzione le manifestazioni di Cgil Cisl e Uil. La loro battaglia per una riforma del sistema sanitario in Basilicata, con particolare riferimento alla situazione materana. Si parla di riforma. Sono piuttosto per una controriforma. Forse non bisogna dimenticare che, tra gli anni 1975- 1980, la Basilicata fu scelta come regione pilota per una riforma sanitaria, che faceva riferimento alla ULSS, cioè all’ Unita locale dei servizi sociali e sanitari. Furono gli anni di una medicina territoriale che, facendo riferimento al territorio, creava, territorialmente, una serie di presidi immediatamente raggiungibili dagli abitanti dell’area. Furono gli anni della nascita di nuovi ospedali di zona, che avevano quattro servizi essenziali e di essenziale cura. Seguivano i due ospedali provinciali di Potenza e Matera. Poi, però, nacque l’idea del grande ospedale regionale, in cui tutto si sarebbe concentrato. Dall’Unità locale si passò all’Azienda sanitaria, nella presunzione che gli ospedali potessero essere amministrati come fossero una fabbrica, con stretti calcoli di entrate e di uscite. A dirigere c’era il manager. Il criterio Azienda voleva che, tra spese ed entrate, ci fosse il pareggio. La medicina diventava praticamente a pagamento da parte dei clienti, che, in questo caso, erano dei malati!
Tirati fuori i ticket con l’obiettivo di ridurre lo spreco delle medicine, a poco a poco dalle medicine si passò alle visite, alle analisi di laboratorio e simili. Ai medici primari e non primari d’ospedale, contro l’opinione di Rosy Bindi, si offrì la possibilità di fare visite private intra ed extra moenia, notevolmente accrescendo i guadagni dei medici ospedalieri, con alto ticket anche quando le visite avvenivano in ospedale. I ticket, anzi, erano cresciuti a livello tale che non pochi medici specialisti privati, pur di avere clienti a casa propria, spesso si accontentavano di prendere l’equivalente del ticket.
Andare dal privato diventò via via praticamente necessario, se non si voleva l’attesa di mesi e mesi. Una visita dal privato intra ed extra moenia, per molti cittadini, diventava economicamente impossibile. Per molti era meglio tenersi la malattia e mettersi nelle mani di Dio. Intanto si smantellava buona parte degli ospedali di zona, riducendoli e semplici laboratori o a servizi particolari. Si chiudevano, in provincia di Matera, ospedali di zona, quali Tricarico, Stigliano e Tinchi. Per salvare l’ospedale di Tinchi si costituì un Comitato, che, capeggiato dal quasi novantenne Domenico Giannace, tenne simbolicamente occupato l’ospedale. Si ricorda persino una marcia a piedi, sotto il sole, su Potenza. Quanto all’ ospedale di Matera veniva depauperato a vantaggio del super-ospedale di Potenza. Si adducevano ragioni di spesa. In realtà l’obiettivo era anche, se non soprattutto, attuare l’insano progetto politico di “Potenza città-regione”. Cosa che non è detto abbia fatto bene alla città, che ha perso ogni intenzione produttiva e creativa emersa fino agli anni Sessanta. Ne ha ricavato solo una superfetazione urbanistica e burocratismo. Oggi si lamenta il deserto del centro storico e della mitica Via Pretoria. Alla nostra obiezione e opposizione, quanto alla soppressione di ospedali di zona, si rispondeva che c’era il 118!
Intanto scomparivano i medici condotti; comparivano le guardie mediche, cioè i supplenti. I medici di famiglia, divenuti liberi professionisti, col proliferare degli studi privati specialistici, facevano a meno di visitare i propri ammalati, dirottandoli, per loro sicurezza e comodità, verso il pronto soccorso o verso gli studi privati, costosissimi, “Dirottatori” li ha definiti Gad Lerner in una recente trasmissione radiofonica. Oggi ci sono paesi senza medico e senza farmacia. Insomma, nulla che abbia a che fare con la medicina democratica o popolare o diritto alla salute, come si scrisse nella legge regionale di Basilicata, al momento della istituzione delle ULSSS.
Tutto si intensificò con la caduta del muro di Berlino, che fu di pretesto per abbattere, col socialismo-comunismo reale, ogni intenzione sociale. Anche il vecchio Pci, convertitosi al privato, diventò PDS e poi PD, avendo a vergogna la lettera S, che stava per Sinistra. Tutto questo, per Fassino, significa passare da una dottrina totalitaria alla democrazia. Lo dice nel recente volume Dalla rivoluzione alla democrazia, lasciando intendere che chi, come lui, fu comunista, non poteva non essere antidemocratico. Gli è mancata la considerazione che tutta la democrazia dei nostri tempi ha come base e premessa la rivoluzione francese; allo stesso modo che molte democrazie, nate nell’ultimo cinquantennio, sono passate attraverso le ideologie socialiste e comuniste. Non si considera, in quel libro, la differenza tra rivoluzione e colpo di Stato. Valga per tutti il caso italiano, che non sappiamo come si sarebbe risolto senza Togliatti, Gramsci, Amendola, ecc.
La democrazia, del resto, significa anche riforma agraria, risanamento dei Sassi e medicina democratica, cioè diritto alla salute. Non c’ è bisogno di dire che la democrazia è imprescindibile da quella giustizia sociale che il sistema capitalistico, per principio, non è disposto a dare. Ha detto giustamente qualcuno che, se non si conosce un socialismo dal volto umano, nemmeno si conosce un capitalismo dal volto umano. L’ultimo caso del disastro della funivia e quello del ponte di Genova lo dicono chiaramente.
Il problema di una sanità non sana riguarda, certo, tutta L’Italia (lo ha detto la pandemia); ma soprattutto riguarda la Basilicata (lo ha detto la pandemia), dove, paradossalmente, si va verso una Facoltà di Medicina assolutamente inutile e costosissima. Non si considera che, quando, fra dieci anni, uscirà il nostro primo laureato in Medicina, la regione, di questo passo, avrà perduto altri cinquantamila abitanti!
A Matera, intanto, fortemente penalizzata anche di fronte alla stessa Potenza, più di qualcuno si consola pensando e dirigendosi verso Acquaviva. Con l’emigrazione per ragioni di lavoro, ci tocca anche l’offesa di una emigrazione sanitaria, Voglio dire che diventa essenziale tornare alla salute come diritto, indietro di cinquant’anni. Finora tutte le decantate riforme sono state un cedimento al privato e alla spesa a carico del malato. Occorre, oggi, una riforma della riforma. Ecco perché sono favorevole ad una controriforma sanitaria.
Giovanni Caserta
Commenti di Giuseppe