Don Pierino così chiamato, originario di Ginosa sia da padre che da madre, ha svolto gli studi Classici e universitari conseguendo la laurea in Pedagogia all’ Università di Bari. Molto bravo nell’esecuzione di musiche organistiche e assai versato nell’arte del disegno, il suo percorso di prete battagliero, di difensore dei più deboli, non mi sorprende. Un prete deve essere così, guida e capo di una comunità. Non deve fare tutto, ma deve vigilare perché tutto sia fatto, una è quella di avere una guida a cui affidarsi.
Nel 1967 l’arcivescovo di Matera nominò titolare della Chiesa Parrocchiale di S. Giovanni Bosco il giovane sacerdote Don Pierino Tamburrano, già a Marconia come viceparroco nel 1966, Tamburrano divenne punto di riferimento per tutta la comunità e per i giovani cresciuti e formati con lui, che seguiva sia a livello spirituale che psicologico, innanzitutto con il dovere cristiano di comprendere, di aiutare, di stare a fianco di chi lottava per la giustizia ricordando il periodo in cui si è trovato ad operare quando Marconia nasceva come villaggio di confino e dotato di niente, a diretto contatto con le problematiche del momento. Marconia ha avuto tanto da Don Pierino, le prime aggregazioni, le prime iniziative socio-culturali, la musica, l’arte, le messe cantate con l’organo a pedale, il primo gruppo musicale e la Don Bosco squadra di calcio. La prima messa che ha celebrato nella chiesa di Marconia è stata seguita solo da un cane. Nessuna persona presente.
Don Pierino non fu condannato dal contesto ecclesiastico dell’epoca, non fu scomunicato per nessuna ragione che fosse ideologica o politica. Fu una scelta di libertà personale vissuta con consapevolezza e coraggio, visto che gli fu negata di vivere l’esperienza di “prete operaio” ai tanti operai che lavoravano nella zona industriale di Pisticci Scalo, cosi lo spinsero a lasciare, pensava che fosse di troppo nel contesto ecclesiastico. Qui di seguito riporto un suo racconto che evidenzia la sua esperienza parrocchiale:
“La chiesa era squallidamente vuota e spoglia. Cadeva acqua dal tetto quando pioveva, e si staccavano numerose mattonelle in terracotta. Lavavo quel pavimento da solo. Le tariffe per le messe, matrimoni e funerali erano abolite. Pagavo le spese per la manutenzione della chiesa con i pochi soldi della scuola, sei ore di insegnamento. Comprai dei biliardini, un tavolo da tennis, e uno da biliardo per i ragazzi che non avevano svago. Presi a guidare la squadra di calcio di Marconia. Il campo di calcio espropriato dai lavori pubblici, fu rifatto a spese mie (sotto l’attuale fungo dell’acquedotto). Comprai un cine-proiettore di marca “Fumeo” per proiezioni gratuite del Cinema di Marconia. Mi impegnai a chiedere un medico condotto sul posto con ambulatorio, una farmacia e una presenza amministrativa più attiva ai bisogni della borgata, in breve tempo giunsero il dott. Vito Magnante e il dott. Lunati come farmacista, che per tutti fu un grande sollievo. Scioperai con gli studenti per il tentativo di trasferire l’Istituto Tecnico Agrario di Marconia in altra sede. Il vescovo ritenne che noi fossimo “comunisti” ma in realtà eravamo solo alla ricerca di una nostra autentica identità. Avevo perfino chiesto di erigere un monumento al “perseguitato politico”. Quel monumento oggi c’è come ci sono tante realtà tra le quali una chiesa solida e splendente, non candente e rispettata da tutti. Per ben tre volte ho tolto dalla chiesa escrementi umani con le mie mani. Nessuno si meravigli che per taluni la vecchia chiesa era “latrina Pubblica” dove sbrigativamente potevano essere risolti i propri problemi fisiologici. Ma alla vecchia chiesa io sono legato, perchè in essa vissi il fatto conclusivo che voglio raccontare. In un tardo pomeriggio di Novembre entrai in chiesa per un controllo, trovai un signore in ginocchio a pregare. La chiesa era in penombra, me ne uscii senza altra suggestione se non quella di meraviglia che uno si fosse fermato in chiesa a pregare. Un ora dopo ritornai in chiesa e quell’uomo era ancora lì a pregare. La cosa non mi sembrò più trascurabile, non conoscendo quel personaggio, mentre uscivo dalla chiesa passandogli vicino, mi sentii chiamare e mi fermai vicino a lui. “Reverendo, disse, sai perchè io sto da tanto tempo qui in ginocchio a pregare? Io sono il padrone del circo che ho portato qui a Marconia per qualche giorno. Ho avuto quattro figli uccisi dai nazisti durante la guerra, per questa ragione sono stato ricevuto in udienza dal Papa Giovanni XXIII, il quale dopo aver saputo della storia tragica, mi ha preso le mani tra le sue e mi ha chiesto che mestiere facessi. Al sentire dei miei viaggi per portare in giro il Circo, mi ha detto queste parole: “Ovunque tu andrai, la chiesa più bella che troverai per fermarti a pregare, sarà spoglia, nuda con un grande crocifisso sospeso sull’altare. Io questa chiesa lo trovata qui, perciò non riesco a distaccarmene” Quel crocifisso lo fatto mettere io con i soldi miei, ed è opera dello scultore Giliberti di Terni, che direttamente provvide a collocarlo così sospeso tra mura nude e fragili di una chiesa che non c’è più. Di quel crocifisso si abbia cura, e non si dimentichi quest’episodio che segna allegoricamente l’epilogo della mia vita a Marconia” Prof. Pietro Tamburrano
Il Professore ha insegnato Latino e italiano nei licei e negli Istituti magistrali, di storia e filosofia, abilitandosi per l’insegnamento di pedagogia, psicologia e sociologia. Negli ultimi vent’anni, degli oltre quaranta trascorsi nella scuola, ha creato il laboratorio di storia, sperimentando nuove forme di didattica attiva, attraverso la quale molti studenti hanno espresso qualità inedite. Oggi ha una famiglia, attualmente in pensione scrive libri e pubblica articoli culturali. “Cristianesimo e Monachesimo nella Terra di Pitagora” è l’ultima sua opera in corso di presentazione. Il Professor Tamburrano è stato un grande nelle vesti di don Pierino e ha continuato ad esserlo in qualunque cosa ha fatto e fa nella sua vita.
Giuseppe Cisterna
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